A tutti noi è abbastanza evidente come le nostre pensioni, gradualmente ma inesorabilmente, stiano perdendo parte del loro iniziale valore d’acquisto. Le cause sono molteplici e l’obiettivo di questa breve analisi è di individuarle e di tentare di dar loro il rispettivo peso.
Si tratta quindi di un’indagine puramente economica che non intende minimamente entrare in ambiti diversi e ben più ampi quali ad esempio quelli dell’equità o del raffronto con i trattamenti pensionistici futuri delle nuove generazioni. È di questi ultimi giorni un nuovo allarme lanciato dal Presidente dell’INPS, Tito Boeri, circa le pensioni che nel 2050 saranno percepite da chi oggi si affaccia sul mondo del lavoro; problematiche giuste ma che non si risolvono creando spaccature ideologiche fra pensionati vecchi e pensionati futuri, bensì studiando gli opportuni correttivi e sfruttando a pieno le opportunità che l’economia dei prossimi trent’anni potrà offrire.
Ora, nonostante l’ambito della presente analisi sia esclusivamente di natura economica, si è consci della complessità dell’argomento, e pertanto si invitano, fin d’ora, tutti i Soci Adprai a partecipare ad una sorta di ‘forum’ (preferibilmente via mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per segnalare eventuali errori o carenze dell’analisi, fatta salva una certa approssimazione di calcolo, ma anche per fornire approfondimenti o per avanzare la richiesta di prendere in esame ulteriori elementi più o meno correlati.
>Entrando nel merito dell’indagine è apparso subito chiaro che, pur trattandosi di un’analisi ristretta all’universo delle pensioni ordinarie dei dirigenti RAI, le realtà sono molto diverse sia in termini assoluti sia in termini di perdita di valore, in funzione dell’anno di pensionamento. Tuttavia, dovendo in qualche misura circoscrivere l’argomento si è deciso di prendere in esame soprattutto quanto accaduto negli ultimi 14 anni, cioè il periodo 2001-2014, che oltre a coincidere con l’avvento dell’Euro e con le politiche economiche più o meno imposte dall’Europa, è il periodo in cui ricade l’anno di pensionamento di gran parte dei nostri Soci.
I fattori di rilievo nella variazione annuale degli importi pensionistici sono sostanzialmente di due tipi: diretti e indiretti. Fra i primi, cioè quelli in grado di variare direttamente l’importo ‘nominale’ delle pensioni vanno annoverati:
- la perequazione ‘automatica’;
- la tassazione centrale (Irpef);
- la tassazione locale (regionale e comunale);
- i contributi straordinari (solidarietà).
fattori indiretti sono invece quelli che non alterano il valore ‘nominale’ delle pensioni ma ne determinano indirettamente la variazione del valore d’acquisto. Il fattore indiretto per eccellenza è ovviamente il tasso di inflazione (Istat: Prezzi al consumo per famiglie operai e impiegati).
In sostanza, per comprendere cosa stia succedendo alle nostre pensioni è necessario per prima cosa esaminare le variazioni di trattamento determinate dai fattori che influiscono sulla crescita/decrescita degli importi nominali. Solo in un secondo momento si potrà operare il confronto con il tasso di inflazione per verificare se gli eventuali aumenti del valore nominale delle pensioni sono riusciti a mantenere o meno il passo con il tasso di inflazione.
La perequazione automatica
È il meccanismo (un tempo chiamato ‘scala mobile’) che dovrebbe salvaguardare il potere d’acquisto delle pensioni. Ogni anno, con decreto ministeriale, viene fissato il coefficiente di rivalutazione che più o meno corrisponde al tasso di inflazione dell’anno precedente, ma con applicazioni complesse e soprattutto differenti di anno in anno e comunque pari al 100% solo per i trattamenti pensionistici più bassi.
Restando su linee generali, la perequazione nell’arco di tempo 2001-2007 è stata così applicata:
- rivalutazione per intero solo alle pensioni più basse, cioè quelle al di sotto della soglia di tre volte il minimo INPS (circa 400 euro lordi mensili; nel 2014 il minimo era ormai vicino ai 500);
- sulla quota di pensione compresa fra tre e cinque volte il minimo INPS rivalutazione dello 0,90%;
- sulla quota di pensione il cui importo è superiore a cinque volte il minimo INPS rivalutazione dello 0,75%.
Nel 2008 le pensioni superiori a 8 volte il minimo INPS non ricevono alcuna rivalutazione.
Negli anni dal 2009 al 2011 sulla quota di pensione superiore a 5 volte il minimo INPS si torna ad una rivalutazione dello 0,75%.
Negli anni 2012 e 2013: nessuna rivalutazione.
Nel 2014 ai trattamenti pensionistici più elevati viene riconosciuta una rivalutazione dello 0,40% sulla fascia fino a sei volte il minimo INPS.
A conti fatti, su una pensione di circa 5.500 euro lordi mensili (pari a circa 3.600 euro netti) la perequazione automatica per l’intero arco temporale 2001-2014 dovrebbe aver determinato un aumento lordo mensile di circa 750 euro (aumento di circa il 13,6%). È un aumento che, sebbene pari alla metà circa di quello che avrebbe comportato l’integrale applicazione della perequazione automatica, nessuno ha constatato in termini netti per l’azione concomitante di altri fattori illustrati brevemente in seguito.
La tassazione ordinaria (Irpef)
La tassazione Irpef può incidere nella determinazione degli importi pensionistici netti attraverso due vie:
- il passaggio dal lordo al netto. Qualsiasi aumento lordo, aggiungendosi al reddito individuale, ricade nella aliquota fiscale più elevata, che per le nostre situazioni è pari al 43%. Ciò vuol dire che, facendo riferimento all’esempio di cui sopra, i 750 euro di aumento mensile si riducono di colpo a 430;
- aliquote e scaglioni. La curva della tassazione Irpef è soggetta a continue variazioni sia di aliquote che di definizione degli intervalli degli scaglioni. In teoria potrebbero influire anche in modo significativo, ma così non è stato: nell’arco di tempo ipotizzato 2001-2014, a parità di trattamento lordo, l’Irpef 2014 sarebbe risultata praticamente uguale all’Irpef 2001. Pertanto l’unica causa di riduzione è da attribuirsi alla pura e semplice applicazione dell’aliquota Irpef sugli aumenti determinati dalla perequazione automatica.
A questo punto, però, è importante notare come l’aumento mensile dei 430 euro sia maturato per circa 320 euro nel periodo 2001-2006 e solo per 110 euro nel periodo 2007-2014. Ciò comporta, ovviamente, che chi è andato in pensione dal 2007 in poi ha visto aumenti al netto Irpef molto contenuti.
La tassazione locale
Nel 2001 l’addizionale regionale (Lazio) era pari allo 0,90%. Nel 2007, relativamente alla fascia di reddito da noi esaminata, l’aliquota era cresciuta all’1,40 per passare al 2,33% nel 2014.
Nel medesimo arco di tempo è cresciuta anche l’addizionale comunale che, ad esempio per la città di Roma, è passata dallo 0,2 del 2001 allo 0,9 del 2014 (cui va aggiunto anche uno 0,2% di anticipo per l’anno successivo).
Pertanto, sommando le due addizionali si è passati dall’1,1% del 2001, all’1,9 del 2007 e al 3,50% del 2014. Conseguentemente si ottiene una maggiore tassazione valutabile in 50 euro nel 2007 e in 160 euro nel 2014. I 430 euro di aumento dopo la tassazione Irpef si riducono così a 270, mentre per i pensionati 2007 scompare ogni tipo di aumento.
I contributi di solidarietà
Non sono una novità di questi ultimi tempi. Già prima del 2000 si era fatto ricorso a questi prelievi straordinari. Oggi ne sono in vigore due:
- tutti i trattamenti pensionistici dei Fondi Speciali (e fra questi rientra anche il Fondo Dirigenti d’Azienda ex Inpdai) sono soggetti ad un prelievo fino all’1% per il quinquennio 2012-2017. Si tratta di un prelievo operato direttamente sugli importi pensionistici lordi valutabile in circa 50 euro mensili, che in termini netti si possono valutare intorno ai 30 euro: l’aumento della pensione in esame si riduce così a 240 euro, mentre per le pensioni 2007 si entra in territorio negativo scendendo a -30;
- contributo di solidarietà sulle ‘pensioni d’oro’ che prevede un prelievo del 6% sui trattamenti superiori a 91.000 euro lordi annui e del 12% su quelli superiori a 130.000. Esiste anche una aliquota del 18% per i trattamenti ancora più elevati.
Conclusioni
Un trattamento pensionistico 2001 complessivamente pari a circa 3.600 netti mensili (corrispondente a circa 5.500 euro lordi), nel 2014 si avvicina ai 3.840 (6.250 euro lordi): la conclusione è che la crescita lorda determinata dalla perequazione automatica è stata ‘mangiata’ quasi completamente dalla maggior tassazione sia centrale che locale. Per le pensioni 2007, scompare il ‘quasi’ ed anzi si riscontra una riduzione dell’importo nominale.
Inflazione e perdita del potere d’acquisto
Dunque, la pensione presa in esame, nei 14 anni dell’intervallo 2001-2014, in valore netto ha subito un aumento di soli 240 euro.
Ora, è il momento di chiederci quanto una pensione abbia perso in termini di effettivo potere d’acquisto. Il punto di riferimento ufficiale è rappresentato dall’indice ISTAT dei “Prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati” (pur essendo consci che il tasso di inflazione di un ‘paniere’ intrinsecamente più costoso potrebbe essere superiore).
Il prospetto che segue fornisce per ogni anno di ingresso nel sistema pensionistico sia il tasso di svalutazione fra quell’anno stesso e il 2014, sia un coefficiente di svalutazione che moltiplicato per l’importo della pensione mensile netta del 2014 fornisce il valore della pensione attuale (cioè del 2014) espresso a parità di potere d’acquisto dell’anno di ingresso in pensionamento:
Anno di pensionamento | Svalutazione % vs 2014 | Coefficiente di svalutazione | Anno di pensionamento | Svalutazione % vs 2014 | Coefficiente di svalutazione |
2001 | 27,88 | 0,782 | 2008 | 9,68 | 0,912 |
2002 | 24,84 | 0,801 | 2009 | 8,87 | 0,919 |
2003 | 21,84 | 0,821 | 2010 | 7,20 | 0,933 |
2004 | 19,47 | 0,837 | 2011 | 4,38 | 0,958 |
2005 | 17,47 | 0,851 | 2012 | 1,32 | 0,987 |
2006 | 15,17 | 0,868 | 2013 | 0,19 | 0,998 |
2007 | 13,22 | 0,883 | 2014 | 0,00 | 1,000 |
Applicando i coefficienti di cui sopra al trattamento pensionistico attuale si tiene conto anche dell’eventuale crescita/decrescita del valore nominale del trattamento pensionistico.
Valga l’esempio della pensione mensile netta di 3.600 del 2001 che nel 2014 ha assunto il valore nominale di 3.840 euro. Per essa, il prospetto di cui sopra fornisce le seguenti due informazioni:
- Fra il 2001 e il 2014 si è verificata un’inflazione ufficiale del 27,88%;
- Moltiplicando 3.840 euro (pensione attuale) x 0,782 (coefficiente 2001) si ottiene l’importo di 3.003 euro che rappresenta il valore della pensione netta 2014 espressa a parità di potere d’acquisto 2001. In termini pratici questo significa che la pensione 2014, nonostante l’aumento nominale di 240 euro, è più bassa, in termini reali, di 597 euro (3.600 – 3003) rispetto a quella del 2001.
Forse, a coloro che si avventurano nel raffronto fra sistema pensionistico ‘retributivo’ e ‘contributivo’, a prescindere da altre considerazioni, andrebbe fatta presente la perdita di valore che nel frattempo le nostre pensioni hanno subito.
E per i prossimi anni?
Nei giorni scorsi è stata resa pubblica la proposta INPS (proposta Boeri) di ‘armonizzazione’ delle pensioni denominata ”Non per cassa ma per equità”, che per le pensioni più alte prevede tagli significativi (oltre il 10%). È noto anche che il Governo a suo tempo aveva rigettato tale proposta ritenendola, al momento, non applicabile. Tuttavia è evidente che tali argomentazioni, a torto o a ragione, creano comunque un clima non favorevole oltre ad alimentare un’ostilità aprioristica verso le nostre posizioni.
Inoltre, più in generale, va poi detto che la spesa italiana per le pensioni rispetto al PIL è, probabilmente, la più alta fra i Paesi europei avanzati (cfr. Carlo Cottarelli “La lista della spesa”). Pertanto, nonostante l’andamento della spesa pubblica italiana per le pensioni sia in fase di minor crescita rispetto al passato, per effetto delle riforme adottate in varie occasioni, è chiaro che la situazione contingente, sostenuta anche da uno squilibrio demografico fra contribuenti e percettori, non consente di guardare con ottimismo all’immediato futuro.
Preoccupa infine un’altra considerazione di tipo macroeconomico: da più parti e in più occasioni è stata auspicata la ripresa di un certo grado di inflazione al fine di alimentare i volani della ripresa economica europea. E’ evidente che, in regime di blocco delle perequazioni, la perdita di potere d’acquisto dei nostri trattamenti pensionistici subirebbe ulteriori e più pesanti incrementi.